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La Sostenibilità dell'Orto Possibile

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Cosa si intende per Sostenibilità

La molto inflazionata parola sostenere deriva da “SUBS-TENTUS” ovvero “tenere su”.

Viene da sé che quando si parla di “sostenibilità” ci si riferisce al fatto che nell'atto di costruire qualcosa, l’opera nel processo di ergersi non cada, non crolli su sé stessa, vanificando gli sforzi fatti e creando un danno a volte irrecuperabile.

Ed ora, tornando ai nostri orti, chiediamoci... cosa significa coltivare in modo sostenibile?

Ebbene, l'orticoltura sostenibile ha a che fare con due spinose questioni, forse lontane tra loro, eppure parimenti importanti.

 

La prima questione è la sostenibilità per l'ambiente.

La seconda questione è la sostenibilità per l'uomo.


Fare l'Orto: Sostenibilità per l'Ambiente

Andiamo con ordine, e parliamo innanzitutto dell'ambiente.

Un orto per essere sostenibile, deve fare in modo che prima, durante e dopo il processo di coltivazione, la terra su cui viene avviato non venga inquinata, rovinata, distrutta... non diventi insomma peggiore di com’era prima di iniziare.

Il suolo è un complesso agglomerato di minerali, esseri viventi (insetti, batteri, micro-organismi vari), materiale organico in decomposizione organizzato in “strati”. Nelle trame di questo complesso mondo sotterraneo, in un terreno lasciato a sé stesso, si formano in maniera del tutto spontanea equilibri meravigliosi, grovigli pazzeschi di radici, storie d’amore tra formiche, lombrichi e tanti altri esseri semplici e microscopici. 

Laddove non è mai passato l’uomo, si trova la natura più “rigogliosa e selvaggia”. Si dice pure che fino a qualche millennio fa ci fossero così tanti alberi nella nostra penisola che sarebbe stato possibile a una scimmia spostarsi da una parte all'altra d'Italia senza mai mettere un piede per terra.

Va da sé che la cosa peggiore che si possa fare per la sostenibilità dell'ambiente, è proprio violare quegli equilibri già di loro perfetti... e l’uomo è bravissimo in questo, capace com'è di distruggere la natura nei modi più diversi. L'opera distruttiva tra l'altro è grandemente facilitata dall'ingegno tecnologico che permette a noi umani l'utilizzo di grossi mezzi a motore (aratri, motozappe, motocoltivatori, trattori…) che frantumano e sminuzzano la terra, facendo piazza pulita qualsiasi cosa ci sia in mezzo. L’incubo ambientale prosegue irrorando il terreno di prodotti chimici ben sintetizzati e selezionati, e costringendo le piante in immense monocolture nutrite artificialmente. Poi per finire in bellezza, quando lo spazio non basta più, si causano incendi o si diserba con sofisticati veleni facendo tabula rasa.

Dunque l’essere umano nella sua opera di “insostenibilità ambientale" è stato decisamente creativo e produttivo.

Eppure anche nel nostro piccolo, in un orto diciamo "hobbystico" o "familiare", il solo fatto di vangare, zappare, scavare, ribaltare la terra, potrebbe considerarsi un danno a quei delicati equilibri che permettono la sostenibilità.

Con questo non voglio dire che vangare sia di per sé giusto o sbagliato... è anche possibile che intere generazioni di famiglie siano sopravvissute grazie a certi espedienti, e alla modifica di quei terreni che non avrebbero altrimenti potuto ospitare le loro coltivazioni. 

Tuttavia sta di fatto che nell’agricoltura moderna sembra essersi accettata passivamente la possibilità che la terra non sia più considerata un organismo vivente e vitale, ma una specie di substrato inerte in cui piazzare le proprie piante.

E' necessario capire che una volta frantumata e sminuzzata, la terra non sarà più in grado di generare o mantenere la vita. Anzi, quando il processo diventa irrecuperabile, con la desertificazione ad esempio, di fatto possiamo dire che la terra è definitivamente morta.

Spesso vogliamo creare un orto su una terra mezza morta, e non ce ne accorgiamo. Una terra morta non è in grado di produrre nulla da sé, ma poiché rimane comunque in grado di sostenere dritte delle piante, decidiamo di utilizzarla comunque e rimediare alla sua improduttività ricorrendo ai vari concimi, fertilizzanti, eccetera... in pratica introducendo artificialmente il nutrimento minerale delle piante, in modo che trovino il loro "cibo"... quello che già prima avevano, prima che tutto fosse distrutto!

Il concetto è semplice da capire: se la terra in cui è passata la vanga o l’aratro è morta, perché si possa coltivare qualcosa... chessò, dei pomodori, i nutrienti vanno re-immessi a mano… ferro, fosforo, potassio, calcio, eccetera. E allora in qualche modo si fa sì che le piante, ammesso che la terra sia almeno in grado di trattenere l'acqua, crescano.

Ma nel momento in cui si smette di concimare, la terra torna ad essere sterile. E oltretutto, in quel breve periodo di vegetazione apparente, cosa ci siamo mangiati? 
Quello di cui stiamo parlando è sotto gli occhi di tutti. E’ la storia triste, in breve, dell’agricoltura degli ultimi cent’anni. Una spiegazione molto semplice, chiara e poco edulcorata del motivo per cui l’agricoltura tradizionale non è sostenibile per l'ambiente


Fare l'Orto: Sostenibilità per l'Uomo

Veniamo ora ad un problema ancora più spinoso, la sostenibilità per l’uomo.

La sostenibilità per l'uomo riguarda la possibilità per noi coltivatori di far fronte alle necessità del nostro piccolo o grande orto in termini economici, di tempo e di sforzo.

Per fare un orto biologico tradizionale, ad esempio, servono come minimo le seguenti cose:

  1. Una terra da coltivare
  2. Attrezzi vari
  3. Macchinari (costo acquisto o noleggio di trattore / motocoltivatore / fresa / motozappa + benzina + olio + riparazioni e manutenzione + accessori vari + personale che li usa) ...Oppure vangate e zappate a mano, in questo caso il costo si trasferisce dall'ambito "denaro" agli ambiti "tempo" e "fatica", ma rimane ingente.
  4. Acqua (+ manutenzione e energia elettrica pompa se si ha un pozzo. Se non si ha un pozzo non venga in mente di irrigare con l’acqua potabile comunale, pena sanzioni pecunarie, e danni alle piante che non amano l'acqua calcarea e depurata dell'acquedotto)
  5. Concimi (non importa che si usi sangue di bue, cornunghia, intrugli liquidi,… comunque costano)
  6. Substrati vari (Terriccio / torba / compost / letame)
  7. Pesticidi (Cosiddetti "biologici") per controllare animali considerati "molesti".
  8. Semi e / o Piantine 
  9. Tempo (tanto)
  10. Fatica (tantissima)

Anni fa, al mio primo orto biologico avviato su un campo fertile e intoccato, misi in campo tutto questo con grande entusiasmo, e ottenni - devo dire - risultati notevoli in termini di produzione. 

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Poi a fine stagione, facendo i conti tra bolletta dell’acqua a quattro zeri (2500 euro) per il solo periodo estivo, e tutte le altre spese di cui sopra, mi resi conto di aver speso circa il TRIPLO di quanto avrei speso andando a COMPRARE la frutta e la verdura in un qualsiasi negozio biologico! Questo senza contare il costo in termini di tempo e fatica persi in attività non particolarmente divertenti, come il vangare e rivoltare le zolle. 

Ma certo, dicevo, sono i prodotti del mio orto, che soddisfazione… già. 

Infine, oltre al danno anche la beffa:  l’anno dopo la terra, prima fertile e rigogliosa, era ridotta a una pavimentazione brulla di “piastrelle” secche e screpolate. Dei danni che le lavorazioni profonde del terreno infliggono all'ambiente abbiamo già parlato, ma non è bello vedere con i propri occhi un campo fertile e rigoglioso trasformarsi in un'enorme piastrella di travertino crepato.

 

suolo dopo lavorazione duro

Come appare il suolo dopo un anno di lavorazione

 

Dopo tre anni, ancora fatico a coltivare qualcosa in quella stessa terra, che comunque - lasciata a sé stessa - si sta lentamente rigenerando, grazie all'incredibile capacità auto-risanatrice della Natura.

La conclusione ovvia a cui giunsi quell'anno, comunque, fu che quel tipo di orto che avevo fatto, seppure lussureggiante e produttivo in quel primo anno in cui la terra ancora conservava la fertilità originaria, non era sostenibile.

Quando un orto non è sostenibile?

Quando danneggia la terra o comunque la rende peggiore rispetto a com'era quando avevi iniziato.

Quando conti alla mano ti fa spendere troppo (in proporzione a quanto spenderesti per comprare i prodotti al mercato) 

Quando ti richiede più tempo di quello che hai a disposizione

Quando ti richiede più spazio di quello che hai a disposizione

Quando a fronte di tanto tempo e impegno profuso non funziona o non produce in proporzione.

Quando è brutto da vedere (su questo l'unico giudice sei tu!)

Quando i tuoi prodotti sono di cattiva qualità o cattivo sapore o contengono sostanze tossiche 

Quando una vocina dentro di te ti dice che non è sostenibile. 

 

Concludendo...

Credo con questi criteri di averti fornito sufficienti informazioni per comprendere se quello che stai facendo è sostenibile. 

Noi l'orto sostenibile lo abbiamo chiamato L'Orto possibile

Tu dagli pure il nome che più ti piace, e... buona coltivazione!

    Pubblicato il 18-05-2020 da:

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    La Sostenibilità dell'Orto Possibile
    Impariamo insieme come valutare il nostro orto identificando caratteristiche e criteri di un orto sostenibile.

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